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La borsa americana è uno dei principali mercati finanziari a livello internazionale, poiché ciò che accade a New York, seppur con un diverso fuso orario rispetto all’Europa, può avere un importante impatto sulle altre piazze finanziarie del mondo.
E’ molto raro infatti che eventuali notizie positive provenienti da Wall Street possano avere ripercussioni negative sugli altri mercati, lo stesso si può dire in caso di ribassi o notizie negative.
In questo articolo ti illustriamo tutto quello che devi sapere sulle borse americane e sul loro andamento, sugli orari di apertura e chiusura della borsa, sul calendario delle sedute e sugli indici azionari principali.
Di seguito trovi una tabella nella quale sono stati inseriti i migliori broker per investire sulle borse americane del 2021, le loro caratteristiche ed il link al sito ufficiale.
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Di seguito, invece, trovi un elenco dei migliori broker per investire nella borsa americana nel 2021:
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I principali indici azionari americani appaiono contrastati con il Nasdaq che guadagna circa lo 0,7%, mentre rimangono deboli sia il Dow Jones che lo S&P.
Una recente analisi elaborata dal WSJ (il Wall Street Journal) mostra un recupero di quasi 683.000 nuovi posti di lavoro per il mese di giugno. I dati sull’occupazione potrebbero indicare quanto sia al momento “calda” l’economia e, conseguentemente, potrebbero rappresentare un forte segnale per un imminente cambio di strategia della politica monetaria adottata dalla FED.
Per quello che riguarda i titoli azionari più scambiati sui mercati americani, attualmente sono positivi AMC +7,5%, Tesla +2,51%, Apple +1,5% e Microsoft +1,4%. In rosso ci sono Boeing -3,4%, Exxon -2,52%, Ford -1,5% e Nike -1,3%.
La volatilità al momento è in forte crescita, con il CBOE Vix che è attualmente scambiato sopra l’area dei 16 punti, soglia simbolica che indica un importante aumento di volatilità dell’indice S&P 500.
Gli indici principali della borsa statunitense che andiamo ad analizzare sono quattro.
Partiamo dal più antico, il Dow Jones (il cui nome completo è Dow Jones Industrial Average, DJIA). Si tratta del più conosciuto indice azionario del NYSE (la Borsa di New York), creato dalle persone di cui porta il nome: Charles Dow (fondatore del WSJ e padre dell’analisi tecnica) e Edward Jones (un noto statistico finanziario).
Il Dow Jones è un indice price-weighted, ossia viene calcolato ponderando il prezzo dei 30 principali titoli azionari di Wall Street. Si tratta di una scelta molto selettiva che ha portato ad un ridimensionamento dell’importanza dell’indice, tant’è che oggi lo S&P, per via della sua maggiore composizione, rappresenta l’indice più utilizzato per valutare l’andamento della borsa americana.
Veniamo ora allo Standard & Poor 500, abbreviato solitamente in S&P 500: si tratta di un indice azionario americano nato nel 1957 e creato dall’omonimo agenzia di rating Standard & Poor’s.
Si tratta di un indice che ricalca l’andamento di un paniere azionario molto ampio, composto dalle 500 aziende americane con più alta capitalizzazione. A questo paniere appartengono azioni di importanti società scambiate sia al NYSE che al NASDAQ.
Si tratta di un indice value-weighted, in cui il peso attribuito a ciascuna società è direttamente proporzionale al prezzo di mercato. Come anticipato, oggi rappresenta l’indice azionario più importante e rappresentativo della borsa americana.
ll Nasdaq Composite è un indice azionario appartenente al Nasdaq: si tratta di un indice ponderato per la capitalizzazione di mercato. Si calcola facendo la somma ponderata dei prodotti dei closing price dei titoli: questa somma, successivamente, viene divisa per un divisore, che permette di abbassare l’ordine di grandezza del risultato.
Ma cosa stabilisce se un titolo può entrare o meno nel Nasdaq Composite? Occorre che il titolo sia quotato in via esclusiva nel Nasdaq, ad eccezione della situazione in cui il titolo abbia già beneficiato di una doppia quotazione su un mercato non USA prima del 2004 e la quotazione sia rimasta in modo continuativo.
I valori mobiliari quotati che possono entrare nell’indice Nasdaq Composite sono: azioni, fondi comuni di investimento immobiliare (REIT), titoli ordinari, ricevute di deposito americane (ADR), trading stocks, partecipazioni in limited partnership e persino le cosiddette BFI, ossia le azioni a scopo benefico.
Non rientrano nella composizione dell’indice i convertible bond, gli ETF, le azioni privilegiate, i covered warrant e altri prodotti derivati.
Il NASDAQ-100 è un indice azionario rappresentativo delle principali 100 società non finanziarie (non sono incluse le società finanziarie) quotate al NASDAQ. È un indice value-weighted, per cui anche in questo caso il peso delle aziende che lo compongono si basa sulla loro capitalizzazione di mercato.
Rispetto al cugino NASDAQ Composite, il NASDAQ-100 è più selettivo (abbraccia “solo” 100 società non finanziarie), mentre il Nasdaq Composite è in grado di cogliere un maggior numero di aziende e quindi di rappresentatività.
Gli orari di negoziazioni della borsa americana non differiscono molto dai mercati europei, ma possono esserci giorni in cui una è chiusa e l’altra aperta, o viceversa: questo è dovuto naturalmente alla differenti festività che vengono celebrate negli Stati Uniti rispetto alle nostre (o più in generale a quelle della tradizione europea).
Wall Street apre le negoziazioni alle 9:30 del mattino e le chiude alle 16:00 di New York. Considerato un fuso orario di 6 ore con l’Italia, l’orario “italiano” di apertura della borsa va dalle 15:30 alle 22:00. Occorre inoltre tenere presente che la fase di pre-negoziazione si estende per l’intera ora che precede lo start alle negoziazioni (quindi dalle 14:30 alle 15:30 italiane).
Gli orari sopra indicati sono validi sia per la borsa di New York (NYSE) che per il NASDAQ.
I futures americani rappresentano un’allettante prospettiva di investimento: si tratta di uno dei derivati finanziari di più antica origine: potrebbe interessarti sapere che i primissimi futures erano già ampiamente diffusi ai tempi dei romani.
Ma perché ti parliamo di investire in futures americani? Non è semplice darti una risposta ben definita, occorre prima valutare le offerte disponibili. Negoziare futures non è cosa facile: sono strumenti molto complessi e spesso sottoposti a delle variabili insite nel contratto o nel suo sottostante.
C’è un contratto di acquisto o di vendita che l’investitore ha sottoscritto con la Clearing House (ossia una Camera di Compensazione). Con la sottoscrizione del contratto si stabilisce il prezzo prefissato, il periodo di durata, l’ammontare del contratto, gli eventuali limiti alle oscillazioni e alle posizioni (long e short) dell’acquirente e i margini del contratto.
Alla scadenza del contratto, l’investitore si impegnerà a comprare l’asset per l’importo stabilito al prezzo prefissato in fase di sottoscrizione. Tale operazione, in realtà, non viene eseguita fisicamente, ma attraverso l’accredito o addebito all’investitore della differenza tra il prezzo prefissato e la valutazione di mercato.
Le principali piazze per la contrattazione dei futures si trovano negli Stati Uniti. In particolare, il CBOT (Chicago Board of Trade) e il CME (Chicago Mercantile Exchange) rappresentano i due principali mercati di futures sia in termini di quantità di strumenti (la scelta è vastissima) sa di volumi scambiati.
Il CBOT nasce nel 1848 ed è la più vecchia borsa merci di tutti gli Stati Uniti d’America: nel CBOT, per esempio, è quotato il future sull’indice Dow Jones. Per quanto riguarda invece il CME, si tratta di una piazza che rappresenta il principale mercato regolamentato per i future sugli indici azionari e sui tassi d’interesse; non a caso, proprio nel CME sono quotati i future sugli indici del Nasdaq, del Russell e dello S&P 500, utilizzati spesso come benchmark per misurare l’andamento dell’economia americana e dei mercati finanziari globali.
Andiamo ora a vedere nello specifico il calendario di Wall Street del 2021 per capire quali sono le feste e le ragioni che possono portare alla chiusura giornaliera dell’operatività. In generale, salvo modifiche dovute ad eventi non programmati o programmabili, le giornate di chiusura previste sono:
In tutti i giorni non indicati, la borsa americana rimane aperta con gli orari canonici, ad esclusione dei weekend. Una delle principali differenze che saltano all’occhio è quella per cui se una delle ricorrenze dovesse cadere in un giorno festivo (sabato o domenica), verrà comunque osservata una giornata di festa: se la festa cade il sabato viene anticipata al venerdì, se cade di domenica viene posticipata al lunedì.
Nel caso della borsa, tale spostamento non viene osservato se nel giorno stabilito per la chiusura sono già programmate scadenze periodiche.
Ci sono poi dei giorni speciali in cui la borsa americana resta aperta nonostante le ricorrenze: ci riferiamo al Columbus Day, al Veterans Day, al giorno delle Elezioni e al Black Friday (giorno successivo al giorno del Ringraziamento). In tutti questi casi è prevista soltanto una chiusura parziale alle 13:00 (le 19:00 italiane).
La borsa americana ha attraversato innumerevoli vicissitudini nella sua storia più o meno recente. In particolare, sono quattro i crolli del mercato azionario che andiamo ad illustrare.
Il primo grande crollo del mercato azionario americano ci fu nell’ottobre 1929, giorno in cui l’economia degli anni ’20 si arrestò. Il crollo, noto come “Martedì nero“, identifica a pieno il panico creatosi nel 1929 e che è stato spesso associato nell’immaginario collettivo alla Grande Depressione, una delle più gravi crisi economiche che hanno riguardato il mondo industrializzato.
Le quotazioni di molte aziende (tra cui la General Electric) crollarono repentinamente e ciò impattò negativamente anche sulle altre borse americane, come per esempio la borsa Chicago e la borsa di San Francisco.
Ma qual è la relazione causa effetto tra il crollo dei titoli azionari e la grande depressione?
Storici ed economisti finirono per non concordare sul ruolo che ebbe il crollo della borsa americana sulla crisi. Alcuni affermano che il crollo azionario rappresenta un chiaro simbolo di un’economia già pienamente in contrazione da qualche mese, mentre altri studiosi evidenziano come fu la crisi finanziaria a causare la depressione.
Il secondo crollo da annotare è il cosiddetto lunedì nero del 1987. Il crollo della borsa di Wall Street del 1987 viene oggi ricordato come uno degli eventi finanziari più dirompenti della storia. Il Black Monday fermò l’inarrestabile cavalcata dei titoli azionari americani che proseguiva dal 1982.
Il motivo per cui il lunedì nero del 1987 non viene oggi ricordato come il peggior crollo finanziario di sempre è che ci fu un rialzo molto rapido che portò ad un recupero molto più veloce rispetto ai tempi che ci vollero in seguito al crollo del 1929.
Si trattò in ogni caso di un evento assolutamente eclatante, poiché segnò il maggiore ribasso mai registrato in una sola seduta, addirittura raddoppiando il primato sancito 58 anni prima.
I 10 marzo 2000 scoppiò la bolla Internet, i cui titoli crescevano ininterrottamente dal 1997, alimentando nella testa degli investitori la speranze che la grande svolta tecnologica sarebbe arrivata a breve. Anche i risparmiatori meno abbienti e informati iniziarono a precipitarsi presso gli istituti convinti di non poter più restare esclusi da questa ondata di ottimismo.
Dopo aver raggiunto un picco di 5.048 punti, il Nasdaq arrivò a perdere quasi l’80% in soli tre anni, mentre andò meno peggio al Dow Jones che si limitò (per così dire) ad una perdita secca pari al -32%. Alcune fonti affidabili affermano che lo scoppio della bolla tecnologica abbia distrutto 7.700 miliardi di dollari di capitalizzazione.
Un altro grande crollo del mercato azionario americano risale al 2008 e iniziò nel mese di settembre, quando l’indice Dow Jones perse circa 777 punti in un solo giorno di contrattazione.
La “Grande recessione” cominciò in realtà a manifestarsi durante tutto il 2007, raggiungendo il culmine nel momento in cui il congresso degli USA rifiutò di varare un decreto salva banche.
A metà degli anni 2000, il mercato immobiliare americano aveva performato un boom notevole, dovuto all’ampia diffusione dei mutui subprime, ovvero una tipologia di prestiti caratterizzati da un elevato rischio finanziario e che venivano concessi da alcuni istituti creditizi a clienti che non possedevano i requisiti di solvibilità e che non avevano la possibilità di accedere ai tradizionali mutui erogati dalle banche.
La bolla dei mutui subprime scoppiò nel 2006 e provocò un effetto contagio dilagante negli altri mercati internazionali che portò alla crisi finanziaria del 2008. Una delle conseguenze fu che le banche smisero di avere fiducia nel meccanismo dei prestiti reciproci, per evitare il rischio di doversi accollare una garanzia collaterale per ricevere tali prestiti.
La successiva riduzione dei prestiti scatenò un incremento dei tassi di interesse, che colpì i consumatori e portò moltissimi proprietari di immobili a dover dichiarare bancarotta. L’apice si raggiunse a settembre 2008, quando ci fu il fallimento di Lehman Brothers, fino a quel momento considerata tra le principali (e più sicure) banche di investimento degli USA.
I mercati internazionali entrarono in crisi, con il petrolio che scese dai 100 dollari al barile di inizio mese, fino ai soli 70 dello stesso mese di settembre.
La proposta della FED fu accettata dal Congresso solamente nel mese di ottobre, quando la situazione era già diventata irreversibile. Il DJIA crollò del 13% e il PIL degli USA perse lo 0,3%, sancendo la fase di recessione. La crisi americana contagiò tutti gli altri paesi e i mercati finanziari seguirono a ruota, collassando: a marzo 2009, il Dow Jones crollò fino a 6594,44 punti.
La crisi finanziaria del 2008 è stata spesso assimilata alla crisi del 1929, sia per gli effetti dirompenti che ha avuto su tutti gli altri mercati occidentali, sia per il forte impatto sociale che ne è seguito. Ci sono voluti diversi anni prima di ritornare ai livelli dei prezzi pre-crisi.
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