Pensi di esseri imbattuto in una situazione di anatocismo bancario e vuoi saperne di più? Questa guida fa al caso tuo!
Prima di proseguire sull’analisi dell’anatocismo bancario, però, dai uno sguardo alla tabella con i migliori servizi di consulenza finanziaria e supporto ai debitori a cui rivolgersi in caso di necessità.
Le recenti crisi finanziarie, tra le quali quella del 2008-2009 di proporzioni più che significative, hanno disegnato dei nuovi confini sul territorio finanziario a livello mondiale.
L’atavica complessità di rapporto tra cliente e banca è diventata sempre più marcata mentre i contenziosi e le aule di tribunale sono diventate terreno fertile per una giurisprudenza che, nel tempo, ha dovuto affrontare questioni sempre nuove e scottanti.
Pur non volendo essere banali non possiamo far altro che rimarcare la difficoltà di comunicazione e di rapporto che storicamente lega un istituto di credito al proprio cliente.
Non si tratta di una novità, naturalmente, ma di un concetto consolidato. D’altronde è fin troppo evidente la disparità di potere fra le parti in campo.
Un contratto bancario, inoltre, oltre ad essere un prodotto di massa è anche uno strumento, potenzialmente, di lunghissimo respiro che prevede solitamente l’accensione di più rapporti nel tempo.
É evidente, a nostro avviso, che per far funzionare un rapporto di questo tipo, uno degli elementi essenziali risiede nell’imprescindibile legame di fiducia reciproca.
Un elemento che è in grado di pregiudicare tale legame è certamente il deficit comunicativo tra le parti. Ad acuire tale aspetto vi è in primo luogo la difficoltà dell’idioma parlato. Il linguaggio bancario è difficile, molto tecnico e di difficile comprensione per i meno avvezzi all’argomento.
Non è sufficiente a nostro avviso la miriade di informazioni che la Banca è tenuta a riservare sulla propria clientela in nome della famigerata trasparenza bancaria; sarebbe forse più opportuno utilizzare un linguaggio più immediato per ottenere meno fraintendimenti di sorta. D’altronde è anche vero che la cultura finanziaria nel nostro Paese rimane significativamente lacunosa.
Le dimensioni degli Istituti di Credito sempre più considerevoli in conseguenza di fusioni ed accorpamenti di genere non aiutano nei processi di comunicazione. La mancanza di un punto di riferimento appare sempre più un problema difficile da risolvere.
Il deficit di comunicazione, in ogni caso, non è l’unico elemento in grado di influenzare il rapporto fiduciario tra Banca e cliente.
A volte, infatti, esso si scontra con la legge del profitto e del guadagno a tutti costi.
Gli Istituti di credito, naturalmente, non sono enti di beneficenza ed è giusto e normale che conseguano un coerente guadagno in relazione ai servizi prestati. Quando la legge del profitto, però, annebbia tutto il resto risulta difficile mantenere intatta la fiducia.
Negli ultimi tempi, complice un margine di guadagno sempre più contenuto, i contenziosi bancari sono decisamente aumentati. Una delle questioni più spinose, più volte affrontate anche dalla giurisprudenza, è quella che riguarda il cosiddetto anatocismo bancario.
Oggi noi ci occupiamo proprio di tale concetto cercando di evidenziarne la storia e le caratteristiche salienti.
L’anatocismo bancario è una pratica che, nel tempo, ha invaso i rapporti fiduciari tra correntisti e banche.
Si tratta di un comportamento scorretto che, nel corso degli anni, ha rimpinguato le casse degli istituti di credito, ha suscitato interesse e contenzioso che ha portato ad un crescete bisogno di normativa giuridica per dirimere le questioni più complesse.
Il termine anatocismo deriva etimologicamente dal greco ἀνατοκισμός e, letteralmente, significa di nuovo usura e nel linguaggio bancario individua la capitalizzazione di interessi passivi su interessi già maturati su una certa somma dovuta dal cliente.
Volendo semplificare il concetto potremmo ricondurre il termine di anatocismo a quello di capitalizzazione bancaria composta considerando come base di calcolo degli interessi dovuti non il capitale mutuato, ma il montante maturato (somma a debito più interessi passivi maturati).
É del tutto evidente, in ogni caso, che la determinazione di interessi passivi su una somma più elevata da luogo ad obbligazioni più alte per il risparmiatore.
Per comprendere meglio il concetto di anatocismo bancario possiamo fare un esempio pratico.
Supponiamo che un cliente prenda a prestito dalla propria banca Euro 1.000 pattuendo un interesse annuo dell’1% per comodità di calcolo.
Al 31 dicembre del primo anno l’obbligazione avrà maturato 10 euro di interessi passivi che all’inizio dell’anno dopo, andranno a sommarsi al capitale mutuato.
Decorso un ulteriore anno la somma dovuta (1010 euro) avrà maturato ulteriori 10 euro e 10 centesimi di interessi che sommati al capitale iniziale l’anno successivo porterà il debito a 1020,10 euro e così via.
É bene evidenziare che, secondo tale pratica, l’esposizione debitoria viene calcolata sul totale della somma concessa maggiorata degli interessi e rappresenta, potenzialmente, un profitto economico di rilevo per la banca ed un danno patrimoniale per il cliente che si amplifica con il progredire del tempo.
Il presupposto essenziale in difetto del quale non può esserci anatocismo bancario è che vi sia un’obbligazione di natura pecuniaria tra il cliente e la proprio banca. Pensiamo, ad esempio, ad un negozio di mutuo oppure ad un’apertura di credito dai quali scaturisce la corresponsione di interessi passivi.
Il quadro giuridico che regola l’anatocismo bancario è storicamente rilevante e ricco di successivi emendamenti di aggiornamento.
In primo luogo è bene segnalare che il concetto di anatocismo bancario trova la propria disciplina giuridica all’articolo 1283 del Codice Civile secondo il quale è ammessa la maturazione di interessi passivi solo sul capitale e specifica che, con esclusione di usi contrari, è permessa la maturazione di interessi sul montante soltanto a partire dalla domanda giudiziale oppure nel caso in caso di accordi posteriori alla scadenza degli interessi qualora dovuti da almeno sei mesi.
L’articolo 1283, dunque, sembra vietare ogni forma di anatocismo bancario, ma è nelle pieghe delle parole che si trova il cavillo. É proprio la locuzione che parla di eventuali usi locali che ha lasciato lo spiraglio nel tempo a comportamenti borderline o palesemente contrari alle norme.
Fino al 1999 la giurisprudenza si è mostrata tollerante nei confronti della pratica dell’anatocismo; le prima sentenze in direzione contraria alla consuetudine sono state la n. 2374 e la n. 3096 emesse dalla Corte di Cassazione.
Tali pronunciamenti hanno evidenziato che gli “usi bancari” non detenessero carattere normativo bensì negoziale e che, per tale ragione, l’anatocismo bancario non fosse giustificabile, ma potesse configurarsi come una vera e propria violazione al codice civile.
Le sentenze, inoltre, hanno palesato una prevalente sudditanza psicologica del cliente nei confronti dell’istituto di credito che avrebbe spinto la banca a subordinare la concessione del credito a fronte di comportamenti scorretti nella capitalizzazione degli interessi.
La Cassazione, infine, ha posto l’accento sulle differenti modalità di trattazione di interessi passivi ed attivi.
Alla luce dei nuovi pronunciamenti e, con lo scopo di disciplinare meglio la materia ed evitare l’insorgere di numerosi contenziosi, il decreto legge 349/99 ha volutamente modificato il testo dell’articolo 120 del TUB normando con precisioni i criteri e le modalità di determinazione degli interessi debitori e creditori.
Come si calcolano gli interessi?
Il calcolo della quota interessi deve essere effettuato secondo i normali criteri in materia di trasparenza bancaria ossia scorporando in ogni eventuale rata la quota capitale da quella interessi.
Il pagamento degli interessi può avvenire mediante addebito sul conto corrente (la più comune), con conferimento in contanti o bonifico o in qualsiasi altra modalità supportata da un apposito negozio giuridico con la banca.
Nel 2014, in conseguenza del perdurare di una situazione controversa, la legge di Stabilità è intervenuta con decisione vietando in modo specifico la capitalizzazione di interessi sul capitale a debito evitando definitivamente la possibilità di far maturare interessi sugli interessi.
Due anni più tardi il legislatore ha ulteriormente precisato le il divieto di cumulo tra capitale ed interessi non riguarda specificatamente gli interessi di mora.
anatocismo bancario: miglior servizio di consulenza
Desiderando semplificare un concetto piuttosto complicato utilizzando una locuzione volutamente poco tecnica, potremmo definire l’anatocismo bancario come una procedura di calcolo di interessi passivi per la quale gli interessi passivi già maturati in un certo arco temporale contribuiscono a formare la base di calcolo di altri interessi a debito.
Come abbiamo già avuto modo di evidenziare in precedenza, l’anatocismo bancario viene disciplinato dal codice civile (articolo 1283) ed aggiornato dalle successive evoluzioni giuridiche.
Le norme di cui all’articolo 1283 si applicano soltanto ai debiti di valuta (pecuniari), ma non a quelli di valore ed in materia squisitamente tributaria.
La disciplina giuridica relativa all’anatocismo, nonostante le successive implementazioni, rimane piuttosto datata nel tempo, e meriterebbe una normativa più accurata.
In considerazione della cavillosità della materia e delle posizioni di forza espresse dagli istituti di credito l’applicazione di interessi anatonistici ha conosciuto larga diffusione e ha dato luogo a lunghi contenziosi.
Ad oggi rimane una pratica espressamente vietata.
Prima di avanzare un paragone esaustivo tra anatocismo bancario ed usura, cerchiamo di definire il concetto di usura.
L’usura è una disdicevole pratica che consiste nell’offrire del credito a tassi di interesse talmente alti da essere reputati illegali, socialmente censurabili e di difficile rimborso da parte del debitore.
L’usura è un reato bieco che si appoggia allo stato di bisogno impellente di un soggetto e che si nasconde nelle pieghe del sommerso e della malavita. L’usuraio non è l’ultima risorsa amica a cui ricorrere quando tutte le porte sembrano chiuse, ma è un individuo (o un’associazione) che delinque sfruttando lo stato di necessità altrui per ottenere un profitto personale.
La pratica usuraia si configura come un reato penale ed è disciplina all’articolo 644 del codice penale. La sanzione per chi commette tale addebito è la reclusione da due a dieci anni ed una multa da 5.000 a 30.000 euro.
Una volta individuato il concetto di usura, possiamo evidenziare quali sono le linee comuni ad anatocismo bancario e usura.
Volendo banalizzare il significato generale delle due pratiche, possiamo dire che, entrambe, sono volte ad ottenere un maggior profitto in conseguenza della concessione di un prestito di denaro.
L’anatocismo, infatti, ha come scopo quello di aumentare la base di calcolo del tasso debitorio mentre l’usura applica, direttamente, un saggio di interesse ben più elevato di quello che la legge individua come tasso soglia.
Benché l’anatocismo sia dai più considerato come strozzinaggio bancario, però, esistono tra le due pratiche almeno un paio di differenze sostanziali.
La prima è di natura economica e risiede nel metodo di calcolo degli interessi passivi richiesti. Nell’usura si tratta di un’applicazione immediata di un tasso esoso sul capitale presto mente in caso di anatocismo l’illegittimità si configura dalla cadenza periodica del ricalcolo.
La seconda, invece, è di natura giuridica. L’usura è un reato penale mentre l’anatocismo è un reato civile.
Benché i due termini possano indicare finalità simili (l’ottenimento di un maggior profitto) si tratta di due illeciti differenti, ma al tempo stesso assolutamente disdicevoli.
Come abbiamo già avuto modo dire il tema dell’anatocismo bancario è stato fortemente dibattuto nelle aule dei Tribunali sia dal punta di vista squisitamente normativo sia in seguito ai numerosi contenziosi sorti nel tempo.
Da un punto di vista giuridico l’ultima sentenza della Corte di Cassazione Civile, sez. III, sentenza 16/10/2017 n° 24293 è stata illuminante. In essa, infatti, vengono definitivamente disconosciuti come fonte i cosiddetti usi bancari contenuti nell’articolo 1283 del Codice Civile rimandando ai soli usi legali le pratiche di anatocismo bancario vietandolo di fatto con esclusione dei casi in cui sia stata fatta domanda giudiziale i rimborso degli stessi (se non fosse così nessuno avrebbe più interesse ad onorare i propri debiti alla scadenza pattuita).
Per quel che concerne le ultime sentenze in conseguenza di ricorsi giudiziari verso istituti di credito da parte dei clienti, possiamo evidenziare che sono state tutte piuttosto incoraggianti per i correntisti. In più di un’occasione, infatti, è stato riconosciuto un impiego illecito di anatocismo bancario con il conseguente obbligo di rimborso.
Nel caso in cui ricorrano tutti i presupposti di legge ed abbia a configurarsi a tutti gli effetti un illecito di anatocismo bancario il cliente ha diritto di agire per ottenere un rimborso di quanto erroneamente applicato.
Al fine di ottenere soddisfazione, il cliente può agire in sede extra giudiziale chiedendo di addivenire ad un accordo privato con l’istituto di credito oppure, in caso di diniego in prima battuta potrà decidere di adire le vie legali.
In quest’ultimo caso, naturalmente, sarà necessario avvalersi del supporto di un professionista serio ed affidabile in grado di offrire massima tutela e concrete possibilità di riuscita.
In caso di sopruso bancario e a tutela del proprio diritto è possibile seguire due strade:
Tentare una conciliazione privata, naturalmente, è possibile, ma molto impegnativo in considerazione della natura della materia e dei rapporti di forza espressi dagli istituti di credito.
Rivolgendosi ad un’associazione oppure a un team di legali è possibile ottenere una consulenza immediata mirata ad accertare se, in effetti, si è configurato un illecito civile a seguito di anatocismo bancario che ha, in qualche modo, cagionato un danno economico.
In caso di valutazione positiva, quindi, sarà sempre possibile agire per ottenere un risarcimento congruo.
Il consiglio finale è quello di avvalersi sempre di professionisti seri, affidabili e competenti in una materia tanto cavillosa.
*La Società specifica che tutti i servizi sono offerti da Difesa Debitori Spa, o da aziende partner, che si riservano la preventiva valutazione di fattibilità della pratica, valutando l’analisi patrimoniale e reddituale del cliente in rapporto allo stato della procedura e rimanendo, in ogni caso, esclusa qualsivoglia garanzia di raggiungimento del risultato trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato.
É espressamente concordato che qualsivoglia accordo di ristrutturazione del debito, transazione giudiziale o stragiudiziale, definizione dei rapporti a saldo e stralcio, eventualmente raggiunti dalla Società con i terzi creditori, direttamente o tramite professionisti delegati, saranno da quest’ultima puntualmente sottoposti all’attenzione ed al vaglio del cliente debitore e della società creditrice, cui è lasciata piena facoltà di aderirvi o meno.
A tal proposito, il cliente è informato che nell’ipotesi di definizione del debito a saldo e stralcio, egli sarà segnalato a sofferenza avanti la Centrale Rischi dell’ente creditore, relativamente alla quota di debito non pagato. Le informazioni della Centrale Rischi possono essere consultate dagli intermediari al massimo per il periodo relativo agli ultimi trentasei mesi, mentre il soggetto segnalato può accedere alle informazioni che lo riguardano senza alcun limite temporale.
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